Non più pacs, ma dico.
Dico io, più che altro, questa riforma andava fatta e per me anche i pacs non erano malvagi. Con i dico si è voluto fare ciò che la politica italiana sa fare benissimo: essere ultra garantista di ogni componente in gioco, laica o religiosa che sia, a discapito di serie riforme (vedi, come ultimi esempi, il calcio o l'abolizione dei costi di ricarica).
Questi dico, altro non fanno che sancire forme di convivenza civile (molte forme, in cui liminarmente ricadono anche le coppie omosessuali che poi porette, che male fanno alla società?) che altrimenti non godrebbero, se non singolarmente, di piccoli benefici relativi alle forme assistenziali, alla questione di successione e così via. I limiti sono anche molto vincolanti, per cui nessuno dall'oggi al domani ha diritto di definirsi un componente dico e chi si affaccia, come età, affettività e possibilità ad una scelta di vita fa prima a sposarsi piuttosto che aspettare i 5 o 10 anni di durata della forma di convivenza, durata base per poter accedere a quelle convenzioni particolari.
In tutto questo discorso cala però una forma, perdonatemi se lo dico, abbastanza reazionaria della Chiesa. Finché il Santo Padre richiama ai valori della famiglia i discorsi si fanno anche innovativi (la famiglia è un caso raro nelle società odierne e forse riscoprirla sarebbe andare realmente controcorrente) ma quando eminence card. Camillo Ruini, appoggiato dalle altre figure che compongono l'istituzione chiesa, tuona sui dico ammonendo il popolo cristiano anzi, catechizzando il popolo cristiano su un prossimo documento che darà a noi, poveri fedeli, l'orientamento su come muoverci... bhè, un po' mi girano le palle e contemporaneamente (il giro evidentemente non è così accellerato) mi preoccupo.
Queste indicazioni mi fanno venire in bocca il sapore del Non Expedit (Non conviene, poi divenuto nella pratica "non si deve"), bolla papale emanata da Pio IX nel 1874, dopo l'unità d'Italia che coinvolse anche Roma, con la quale si proibiva ai cattolici di votare per l'occupatore.
Il dirti cosa debbo fare mi suona come veramente antico, stantio. Non stiamo in pericolo di vita, allora come adesso. Non si rischia di veder rinnegato un credo nella sua interezza o di vedersi togliere, ex laica cattedra, il valore religioso ad un matrimonio.
Si tratta di una riforma, molto edulcorata, che uno stato laico sta cercando di portare avanti nel rispetto di tutti.
Rispetto che dovrebbero utilizzare anche chi, sebbene nella libertà di opionione, parla e commenta sulle azioni pontificie. Ora, se non sai una mazza di questo, perché ti metti addirittura a commentare i vangeli? Perché citi l'amore eterno di Dio che perdona tutto (manco fosse un fesso) e non la responsabilità umana nel rispondere a tale amore?
Perché voialtri commentatori della domenica non vi state zitti e lasciate discutere chi è competente?
Resta il fatto che questo Non Expedit lo vorrei rivolgere a chi si occupa di scrivere tale indicazione: non conviene farla, veramente.
Dico io, più che altro, questa riforma andava fatta e per me anche i pacs non erano malvagi. Con i dico si è voluto fare ciò che la politica italiana sa fare benissimo: essere ultra garantista di ogni componente in gioco, laica o religiosa che sia, a discapito di serie riforme (vedi, come ultimi esempi, il calcio o l'abolizione dei costi di ricarica).
Questi dico, altro non fanno che sancire forme di convivenza civile (molte forme, in cui liminarmente ricadono anche le coppie omosessuali che poi porette, che male fanno alla società?) che altrimenti non godrebbero, se non singolarmente, di piccoli benefici relativi alle forme assistenziali, alla questione di successione e così via. I limiti sono anche molto vincolanti, per cui nessuno dall'oggi al domani ha diritto di definirsi un componente dico e chi si affaccia, come età, affettività e possibilità ad una scelta di vita fa prima a sposarsi piuttosto che aspettare i 5 o 10 anni di durata della forma di convivenza, durata base per poter accedere a quelle convenzioni particolari.
In tutto questo discorso cala però una forma, perdonatemi se lo dico, abbastanza reazionaria della Chiesa. Finché il Santo Padre richiama ai valori della famiglia i discorsi si fanno anche innovativi (la famiglia è un caso raro nelle società odierne e forse riscoprirla sarebbe andare realmente controcorrente) ma quando eminence card. Camillo Ruini, appoggiato dalle altre figure che compongono l'istituzione chiesa, tuona sui dico ammonendo il popolo cristiano anzi, catechizzando il popolo cristiano su un prossimo documento che darà a noi, poveri fedeli, l'orientamento su come muoverci... bhè, un po' mi girano le palle e contemporaneamente (il giro evidentemente non è così accellerato) mi preoccupo.
Queste indicazioni mi fanno venire in bocca il sapore del Non Expedit (Non conviene, poi divenuto nella pratica "non si deve"), bolla papale emanata da Pio IX nel 1874, dopo l'unità d'Italia che coinvolse anche Roma, con la quale si proibiva ai cattolici di votare per l'occupatore.
Il dirti cosa debbo fare mi suona come veramente antico, stantio. Non stiamo in pericolo di vita, allora come adesso. Non si rischia di veder rinnegato un credo nella sua interezza o di vedersi togliere, ex laica cattedra, il valore religioso ad un matrimonio.
Si tratta di una riforma, molto edulcorata, che uno stato laico sta cercando di portare avanti nel rispetto di tutti.
Rispetto che dovrebbero utilizzare anche chi, sebbene nella libertà di opionione, parla e commenta sulle azioni pontificie. Ora, se non sai una mazza di questo, perché ti metti addirittura a commentare i vangeli? Perché citi l'amore eterno di Dio che perdona tutto (manco fosse un fesso) e non la responsabilità umana nel rispondere a tale amore?
Perché voialtri commentatori della domenica non vi state zitti e lasciate discutere chi è competente?
Resta il fatto che questo Non Expedit lo vorrei rivolgere a chi si occupa di scrivere tale indicazione: non conviene farla, veramente.
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